2004 - Due temerari sciatori sulle nevi bianco maiolica di Albisola - Fondazione Museo Giuseppe Mazzotti 1903 Albisola

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2004 - Due temerari sciatori sulle nevi bianco maiolica di Albisola

IL TORNIO notiziario culturale della ceramica
il Tornio Notiziaruio Culturale della Ceramica

   Due temerari sciatori sulle nevi bianco maiolica di Albisola.
   di Tullio Mazzotti
    

   Con il termine Albisola si intende universalmente il territorio appartenente a due comuni: Albissola Marina e Albisola Superiore. Di quest’ultimo fanno parte anche le frazioni di Albisola Capo e di Ellera, che prima faceva Comune a sé.
   Le caratteristiche genetiche degli abitanti sono dissimili (marinai, operatori turistici, contadini) se non per il "cromosoma ceramico", anzi lo stesso "cromosoma" lo si ritrova anche negli abitanti della vicina Savona e in quelli di Ellera dove erano collocati nel passato i mulini che lavoravano (le materie prime arrivavano via mare) gli smalti e i colori per le fabbriche albisolesi.
   Anche Savona può vantare una consolidata tradizione ceramica, tanto è vero che lo stile seicentesco caratterizzante maggiormente la produzione artigianale locale, in esecuzione ancora oggi, è conosciuta, oltre che come Bianco e Blu, anche con il nome di Antico Savona.
   Lo Stato Italiano, attraverso il Ministero dell’Industria e Artigianato, ha individuato 32 zone di Antica Tradizione Ceramica e fra di esse c’è Albisola, in quanto la sua produzione nei secoli ha avuto continuità, diffusione e notorietà maggiore di Savona.
   Il marchio Albisola comprende allora il territorio dei comuni di Albissola Marina, di Albisola Superiore (quindi anche Ellera) e parte (quella a est del torrente Letimbro, ovvero la parte storica) del Comune di Savona.
   Una stazione ferroviaria per entrambi i comuni, un medesimo casello autostradale, un’unica striscia di spiaggia meravigliosa e lo stesso "cromosoma ceramico" mi portano a parlare di Albisola come di una entità unica.
   Albisola dista 3 chilometri da Savona, 45 da Genova, 126 da Torino, 180 circa da Milano, 500 da Roma, 120 da Montecarlo e dalla Costa Azzurra, 1.200 da Parigi. Questo in termini di distanza metrica, ma, storicamente, in ambito artistico dista 0 (zero) millimetri dal centro dell’arte ceramica del Novecento. Albisola è la ceramica del Novecento in campo mondiale.
   La produzione di ceramica inizia nel 1400 in un convento di Frati Benedettini per poi proseguire nel 1500 con la produzione di ceramiche, solo ingobbiate, ovvero senza la copertura in smalto (o maiolica) che apparirà successivamente.
   Una fioritura di stili dall’Antico Savona, già menzionato, al Levantino o Valente, dal Calligrafico Naturalistico al Boselli (stile che prende il nome dal suo ideatore ma riconducibile al Lodi) caratterizzano la produzione artigianale sino agli inizi dell’Ottocento con ceramiche di grande pregio per un mercato sempre più ampio.
   Nel XIX secolo la produzione albisolese subisce una grande trasformazione; l’uso della decorazione si atrofizza sino a sparire lasciando il posto alla fabbricazione di pentole e stoviglie, per uso cucina, dove la decorazione è pressoché assente, in genere invetriate all’interno e ricoperte all’esterno da una vernice ricca di manganese. Vengono realizzate con un’argilla ferrosa che arriva via mare dalla vicina Francia (estratta dalla zona di Antibes), foggiate al tornio con lavorazione integralmente manuale, essiccate sulla spiaggia, cotte nei forni a legna (da Ellera arrivavano sia le vernici che la legna necessaria per le cotture) e quindi inviate sul mercato con i mezzi più disparati.
   Vengono usati i carretti tirati da asini per le consegne nei paesi vicini, le barche per i paesi più lontani per poi utilizzare la ferrovia negli ultimi decenni dell’Ottocento, quando ovviamente venne costruita.
   Albisola ha sempre vissuto fasi cicliche.
   In un censimento del 1808/9 vengono registrate 400 persone addette alla produzione di ceramica (su 3.500 abitanti), 260 marinai che lavorano su 40 velieri addetti al trasporto dei manufatti, 40 donne e mulattieri che smerciano nei paesi vicini, 120 muratori che costruiscono e riparano i forni, 100 operai che trasportano l’argilla e 50 che macinano e raffinano i minerali di piombo necessari per preparare le vernici.
   Con il finire dell’Ottocento la produzione manuale di pentole non regge il confronto con un mercato che comincia a scoprire l’utilizzo di altri materiali e metodi lavorativi industriali, in questa situazione (a cui si sommano la costruzione della ferrovia che modifica il tessuto infrastrutturale della Liguria e il grande terremoto del 1897) Albisola ritrova la decorazione (e dopo qualche anno anche la pregiata maiolica non più utilizzata nella produzione di pentole) e infine diventa il centro dell’universo ceramico.
   Non sto esagerando, è la verità.
   Come ciò sia stato possibile è complesso e semplice al tempo stesso. Certamente questa non è la sede per un approfondimento storico, né io sarei in grado di svilupparlo in modo completo. Non sono uno storico, sono un artigiano, sono un artista, che ha grande attenzione per la cultura del fare, per le sensazioni primitive e profonde. Sono, forse con immodestia, una persona d’azione. A volte di una ignoranza abissale, ma so annusare l’aria.
   Manlio Trucco, Arturo Martini e Giuseppe Bausin Mazzotti stanno alla base di tutto.
   In un ambiente che storicamente era ricco di una ceramica bella e di pregio, ma che nel contesto di fine Ottocento viveva una crisi nella produzione di pentole e, con incertezza, una trasformazione e una ripresa della decorazione, Manlio Trucco, Arturo Martini e Giuseppe Bausin Mazzotti si inseriscono come personaggi nuovi, capaci di modificare il territorio e la storia.
   Trucco scopre il Liberty e lo porta in Albisola, Martini introduce l’arte dentro la fabbrica (un’arte non più artigianale, ma che appartiene ancora di più alla creazione, pur conservando ancora, nel suo lavoro ceramico, la riproducibilità del manufatto), Giuseppe Bausin Mazzotti modifica il concetto di "fabbrica" in Albisola.
   E i figli completano il suo lavoro.
   I figli, avuti da Celestina Gerbino Promis il cui padre fu il primo maestro della scuola di Albisola, studiano prima di lavorare, fanno esperienze lavorative diverse da quelle ceramiche, si arricchiscono di conoscenze. In quell’epoca non era davvero comune.
   Ma Bausin ha altre due doti inusuali per allora: sa delegare e sa assumere decisioni imprenditoriali innovative.
   Investe. Dopo essere andato a bottega in altre fabbriche ed essersi spinto sino a Napoli a fare il torniante, nel 1903 apre una sua fabbrica a Pozzo Garitta; poco dopo costruisce il primo forno in Albisola con la muffola interna per una migliore realizzazione di ceramiche in maiolica, poi lascia spazio ai figli e alle intuizioni di Tullio d’Albisola, apre una succursale ad Albisola Superiore affidandola al figlio primogenito Torido, la cui gestione permetterà l’accumulo dei fondi necessari alla costruzione degli edifici alla foce del torrente Sansobbia.
   Tullio Mazzotti (mio prozio di cui sono omonimo, appellato da Filippo Tommaso Martinetti e universalmente conosciuto come Tullio d’Albisola) fu colui che fortunatamente attento, lungimirante e ambizioso s’innamorò dei dettami del movimento futurista.
   Torido, invece più schivo come artista, fu abilissimo artigiano.
   Questi gli antefatti che portarono Tullio d’Albisola a intrecciare rapporti artistici-culturali con i futuristi che in seguito a ciò vennero ad Albisola e Torido sino a Faenza per studiare come fare ceramica.
   Il contatto fra il Futurismo e Albisola è storicamente la svolta che conduce i ceramisti a divenire fornitori, oltre che di manufatti in ceramica destinati all’uso comune, anche di un supporto tecnico necessario all’artista per la realizzazione in ceramica della sua arte.
   Appare così evidente che la ceramica è un mezzo attraverso il quale esprimere arte.
   La seconda guerra mondiale interromperà i legami con il Futurismo, la fine della guerra seppellirà la dottrina futurista (che poi la storia rivaluterà appieno dal 1986 con la mostra veneziana a Palazzo Grassi "Futurismo e Futurismi") ma lascerà intatta la fama di Albisola.
   Il clima, il mare, quelle esperienze, la lungimiranza di Tullio d’Albisola, la struttura solida della fabbrica in cui Torido è il maestro artigiano, la ripresa del dopoguerra e la capacità di apertura dei liguri (forse grezza se si vuole) fanno il miracolo.
   Lucio Fontana e Aligi Sassu, che già frequentavano Albisola prima della guerra, ritornano, Milena Milani, savonese di origine, nei suoi viaggi insieme a Carlo Cardazzo portava in giro il verbo albisolese; a loro si aggiungono prima Sergio Dangelo e dopo Enrico Baj.
   Sono questi due giovani ardimentosi che nel 1954 invitano Asger Jorn ad Albisola (ne è testimonianza un ampio e documentato carteggio).
   Sergio Dangelo, già sulle rive del Sansobbia dall’anno prima, fa da anfitrione e trova alloggio e cibo per l’artista danese che subito dopo chiamerà Corneille, Sebastian Matta, i CoBrA, a cui si aggiungono poi tanti e validi autori di origine ligure.
   Come una valanga che mossa dalla forza di gravità trascina tutto ciò che incontra, così la situazione si evolve e travolge tutto: gli abitanti che, inconsapevoli e ignari, accettano in cambio di ospitalità quadri e ceramiche che oggi valgono la storia, gli artigiani di quasi tutte le fabbriche che aprono le porte dei loro laboratori e i loro forni, i bar, anzi "il Bar Testa", accolgono le discussioni ispirate degli artisti.
   È così che la ceramica non è più arte applicata, ovvero non è più un materiale che subisce, o accetta, l’espressione artistica di un autore (a volte con il fine della riproducibilità), ma diventa materiale puro attraverso cui, e solo attraverso di esso, l’autore può esprimere la sua arte.
   La ceramica è forma, è colore, è modificazione plastica tattile, la ceramica ha i suoi ritmi.
   La ceramica ha persino la memoria, come lo ha il ferro d’altronde, ma è più viva.
   Gli albisolesi accolgono gli artisti, le fabbriche accolgono gli artisti, questi ultimi discutono sul come fare arte.
   Milena Milani, bellissima, si accompagna al gallerista Carlo Cardazzo, a cui gli artisti guardano speranzosi di "piazzare" qualche loro opera così come guardano, aspirando a una legittimazione, ai critici d’arte Mario De Micheli e Gualtieri Di San Lazzaro, altri abitué di Albisola.
   Jorn, va e viene, ritorna ad Albisola l’anno successivo, ma gli Incontri Internazionali della Ceramica pensati da Jorn, Dangelo e Baj (con l’approvazione di Tullio d’Albisola) ormai sono cosa fatta.
   E’ ad Albisola che si modifica la storia dell’arte del Novecento. Avviene qua e non altrove.
   Wifredo Lam sbarcato ad Albisola proveniente da Milano, dove alla stazione centrale era stato accolto da Sergio Dangelo, Enrico Baj e Piero Manzoni (che gli avevano portato in dono una banana, un panettone Motta e un palloncino gonfiato con "alito d’artista) riferisce nel numero speciale di Riviera Notte del 15 agosto 1970 (1): "Perché abbiamo un posto ad Albisola? Nel 1957 ricevemmo a Parigi due lettere che arrivavano da questo paese, che sino a quel momento non conoscevamo, una era di Tullio Mazzotti e l’altra di Asger Jorn, che ci invitavano ad andare da loro a fare ceramica. Eravamo curiosi di sapere cosa era Albisola e allora il pittore Corneille a Saint-Germain des Prés ci parlò del significato e della tradizione artistica di Albisola. È per questo che Lou ed io venimmo qui per trascorrere l’estate del 1958, un’estate che si è prolungata sino ad oggi. Siamo rimasti legati durante questi dodici anni dall’amicizia ospitale e gentile di questo luogo. ".
   Sempre sullo stesso numero Eliseo Salino così scriveva "Albisola è veramente il paese più straordinario che esista al mondo, pensate è l’unico che su tremila persone, sedicimilaventitre sono pittori, ventisettemilaottantaquattro scultori, undicimilacentosei poeti, settecentoduemila ceramisti. Io vivo felice qui per questo: sono una mela, me ne sto appeso a un albero e non scendo da quando ho saputo la storia di Guglielmo Tell, non sono mica matto, vi pare?".
   Era il periodo successivo a quando Aligi Sassu fu eletto consigliere comunale ad Albisola Mare, situazione che credo possa rappresentare significativamente il rapporto fra arte e paese.
   Oggi Albisola (i due comuni delle tre Albisole) conta 16.000 abitanti e 28 fabbriche di ceramica, 17 sedi espositive, 7 musei o raccolte d’arte.
   Una densità spaventosa di eventi, inaugurazioni, manifestazioni, incontri; nel corso del 2002 sono state oltre 90 (dato desunto dal nostro archivio dove conserviamo anche gli inviti ricevuti).
   Senza dubbio è la più alta densità pro capite del mondo.
   Una galleria d’arte o associazione culturale ogni 941 abitanti, una fabbrica di ceramica ogni 571, un museo o raccolta ogni 2285, una mostra ogni 177 abitanti.
   E’ un potenziale enorme.
   Certo oggi la situazione è un po’ diversa dagli anni Trenta e dagli anni Cinquanta e Sessanta.
   Il Futurismo era una operazione progettata, che nasceva dalla passione per questa dottrina artistica da parte di Tullio d’Albisola, un’operazione ancorata anche alla produzione seriale (si pensi alle ceramiche prodotte per la Rinascente, la Campari nate dal design di Nicolaj Diulgheroff e di Fortunato Depero), una situazione principalmente di nicchia (nel senso che il paese e le altre fabbriche , ad esclusione della M.G.A., non ne erano pienamente partecipi).
   Gli anni del dopoguerra furono invece un movimento spontaneo, nato sul seguito del Futurismo, per la presenza di Lucio Fontana, Aligi Sassu e tanti altri validi artisti, ma soprattutto dall’intuito di Enrico Baj e Sergio Dangelo. I fondatori del Movimento Nucleare avevano infatti voluto prendere contatto con il gruppo CoBrA, nasce da qui l’incontro con Jorn.
   Trucco, Martini e Bausin Mazzotti furono coloro che, per fare un paragone sciistico, costruirono la seggiovia, Tullio d’Albisola il primo ardimentoso sciatore a cui fare riferimento, ma i due temerari che, sciando fuori pista, tagliarono la crosta della neve causando la valanga ceramica che modificò l’arte del Novecento partendo da Albisola furono: Dangelo e Baj.
   Momenti irripetibili ? chissà.
   Prima della morte di Fontana avvenuta nel 1968, di Tullio d’Albisola nel 1971 e di Jorn nel 1973 il dialogo fra gli artisti era molto aperto e i giovani mai venivano esclusi.
   Nell’ultimo quarto di secolo dove in mancanza di una linea conduttrice (che il Futurismo riconosceva nel suo Manifesto e gli anni Cinquanta riconoscevano in parte nello Spazialismo "L’artista spaziale non impone più allo spettatore un tema figurativo, ma lo pone nelle condizioni di crearselo da sé, attraverso la sua fantasia e le emozioni che riceve" firmato Lucio Fontana, Milena Milani, Beniamino Joppolo, Carlo Cardazzo e Giorgio Keisserlian) la caratteristica emergente è stata la poliedricità dell’espressione artistica, dei contenuti e del "linguaggio".
   Un grande fermento artistico caratterizza in quel periodo la vita artistica di Albisola; una sequela di esposizioni, performance artistiche che si rincorrevano avendo come comune denominatore la voglia di fare. In questo quadro i due fari erano Agenore Fabbri e Mario Rossello.
   Nel libro "Omaggio a Torido", del 1988, curato da Federico Marzinot, in una intervista Rossello scrive ricordando i tempi addietro "Alle sei di sera, al bar Testa, arrivava Tullio e poi gli altri: Fontana, Cardazzo, Fabbri, De Micheli, Crippa. La piazzetta si riempiva di artisti, critici, studiosi ed era un continuo discutere in libertà, tra persone di generazioni e tendenze artistiche diverse, senza che emergessero contrasti troppo aperti tra i vari gruppi, che pur esistevano. Con Fontana, che aveva più anni di me, non mi trovavo a disagio ..... .".
   Quell’atmosfera di grande apertura sul finire del secolo viene in parte a modificarsi, i nuovi attori della scena artistica albisolese, forse per carattere, si fanno maggiormente attenti nella scelta dei compagni di viaggio.
   Così quel vociare di "arte" al Bar Testa si affievolisce e si impoverisce certamente di contenuti per lasciare posto a una densità di occasioni espositive che tende (o tenta talvolta) a legittimare anche coloro che più che all’arte sono vicini alla velleità artistica.
   Intorno al 1990 alcune "Biennali d’Arte" del Comune di Savona, ma soprattutto "ALBISOLA / GLI ARTISTI & LA CERAMICA", manifestazione organizzata dalla Camera di Commercio di Savona e seguita nell’organizzazione da Anna Maroscia, con il contributo critico di Franco Dante Tiglio, tentano di mettere un po’ d’ordine e di tracciare alcune linee guida capaci di "ripulire l’ambiente da un certo sottobosco".
   Alla mancanza dei maestri Fontana, Tullio d’Albisola, Jorn e poi di Lam, si aggiunge la modificazione dello standard di vita, delle abitudini per esempio vacanziere degli italiani (anche degli stranieri), una edificazione nel paese avvenuta in modo troppo rapido e non intelligente, un aumento del traffico automobilistico a cui nessuno a tutt’oggi ha saputo rispondere con la realizzazione di una strada di scorrimento per il traffico delle automobili, cosicché oggi Albisola (soprattutto Albissola Marina) è soffocata dalle macchine e tagliata in due dalla statale Aurelia che divide il centro abitato dalla spiaggia.
   Negli anni Sessanta e Settanta il paese era un centro balneare; sino ad oggi però Albisola non ha saputo riadattarsi in modo compiuto alle modificazioni turistiche e di qualità della vita.
   Questo andrebbe fatto con coraggio, lungimiranza e fermezza.
   Dal punto di vista urbanistico sarebbe necessario puntare con decisione sulla realizzazione di una "Aurelia bis", un’arteria di scorrimento urbano per liberare Albisola dal traffico in transito verso e da Savona. È assolutamente indispensabile perché il paese possa ridefinirsi un centro turistico.
   Strutturalmente e culturalmente è altrimenti indispensabile, inderogabile, la costruzione di un Museo della Ceramica pubblico a testimonianza della storia e degli avvenimenti che qua sono avvenuti, un Museo sede anche di un dibattito artistico, un Museo che oltre a raccontare sia anche capace di dare un indirizzo culturale.
   Se questi due progetti fossero realizzati allora Albisola ritornerebbe nuovamente a 0 (zero) millimetri dal centro.
   "Sono queste due cose che possono cambiare la storia."
   Rimane però indubbio che Albisola con le sue fabbriche, le sue sedi espositive e la sua storia mantenga immutato il suo fascino e il suo richiamo, che sia frequentata ancora oggi da maestri dell’arte contemporanea, e che, soprattutto, la ceramica che esce dai suoi forni sia "straordinaria".
   Gli artisti sono sempre accolti con favore, gli abitanti sono abituati a convivere con l’arte.
   Alle pareti delle loro case sono appesi quadri e piatti in ceramica ed è consuetudine che entrando ospiti in abitazioni altrui si venga accompagnati ad ammirare le opere "degli artisti" a testimonianza del legame profondo fra artigianato-arte-paese.
   L’arte ad Albisola non è quindi considerata un bene superfluo, ma una necessità vitale.
   Ad Albisola ci sono più lettere nell’alfabeto dell’arte che altrove ed è per questo che gli artisti continueranno a venire sulle rive del Sansobbia a fare ceramica.


   (1) Riviera Notte, Anno XV, N° 28 bis del 15 agosto 1970. La testimonianza intitolata "Un’estate di dodici anni", riportata in corsivo sullo "Speciale Albisola", era firmata da Wifredo Lam e Lou Laurin-Lam. In essa l’artista cubano afferma di non conoscere Albisola prima del 1957 e di esserci venuto a seguito di due lettere d’invito ricevute da Tullio d’Albisola e Asger Jorn, che era arrivato in Albisola nella primavera del 1954.





 
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